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Galateo da sushi ya

Non basta riuscire ad afferrarci il cibo. No, ci sono regole precise per usare le bacchette a tavola: da come impugnarle per prendere il riso a come (non) utilizzarle per passare qualcosa al vicino di tavola. Anche per mangiare sushi esiste un'etichetta da osservare. E anche in Italia c’è chi cerca di diffonderne le regole, visto che la moda dei sushi restaurant e sushi bar non accenna a passare. Anzi, i locali si moltiplicano sull’onda del successo del pesce crudo, dell’attenzione alle calorie e del fascino dell’esotico. E noi occidentali, pur essendone assidui frequentatori, non sempre siamo all’altezza dal punto di vista del galateo.


Certo, in Italia titolari e camerieri chiudono un occhio di fronte a gaffe involontarie. Ma l’ambasciata del Giappone sta lavorando a un marchio di riconoscimento di quelli veri, approvati dal Sol Levante.

Gli accorgimenti sono pochi, ma essenziali come suggerisce Nicola Santini, autore del libro Business etiquette e docente di buone maniere in trasmissioni televisive Rai e Sky.

In primo luogo è sempre meglio usare le bacchette, anche se non si è molto abili: i giapponesi apprezzeranno il tentativo e comunque ai loro occhi è preferibile usare maldestramente le bacchettei che la forchetta, ritenuta uno strumento violento.

Queste comunque non andranno impugnate ma tenute con le estremità delle dita. E non vanno mai piantate nel cibo. Né lasciate nel riso tra un boccone e l’altro, quando bisogna piuttosto appoggiarle parallele tra loro sul tavolo (o sul porta bastoncini). Come dappertutto, spesso le regole di etichetta hanno antiche radici di superstizione. Nel caso delle bacchette lasciate nel riso il ricordo è ai bastoncini di incenso nel piattino che si bruciano durante i riti funebri.

Allo stesso modo non si passa il cibo al vicino con le bacchette ma gli si avvicina il piatto dal quale si servirà lui stesso: il passaggio con le bacchette non sta bene (ed è legato al brutto pensiero del passaggio delle ossa dei defunti tra parenti nell’antico funerale nipponico).

Ogni boccone di sushi e sashimi è un piccolo capolavoro. Non si deve mangiare con distacco e sufficienza, ma con attenzione e ammirazione per il lavoro svolto dal itamae (sushi chef).

Non si versa mai la salsa di soia sui cibi. Al contrario sono i cibi che devono essere intinti nelle salse. Quindi non si versa ma si intinge.

Se viene proposto, non ci si sottrae mai ai brindisi, che fanno parte del rito in tutte le culture orientali. Se proprio si è astemi si potrà portare come giustificazione che “il medico mi ha prescritto di non bere”.
Quando si porge qualcosa lo si fa sempre con entrambe le mani, un po’ come avviene con lo scambio di biglietti da visita, che per i giapponesi ha il valore di un documento.

Infine, quando è ora di andar via, se invece che ai tavoli della sala, siete stati a mangiare direttamente al bancone davanti all’i tamae, è gradito che lo si saluti con un ringraziamento per il suo lavoro: “Domo arigato” è un’espressione gentile giapponese per dire "grazie". Chi volesse essere ancor più sofisticato potrà congedarsi con un  "Gochisosama deshita", che tradotto liberamente significa "la ringrazio per il pasto”
 

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